La pressione arteriosa è la “forza” con cui il cuore pompa il sangue per farlo scorrere all’interno dei vasi sanguigni e si esprime in mm/Hg (corrispondenti all’altezza di una colonnina di mercurio che equilibra la pressione misurata).
Essa dipende dalla forza con cui il cuore si contrae e dalla resistenza che il sangue incontra nei vasi: più i vasi sono piccoli, o rigidi, più la pressione è elevata.
In genere, la pressione arteriosa si esprime con due valori numerici: il più alto, detto sistolico, si riferisce alla pressione con cui il cuore spinge il sangue nelle arterie, il secondo, detto diastolico, corrisponde alla pressione di rilascio. La pressione non è sempre costante: essa è più alta al risveglio e diminuisce durante il giorno; aumenta in caso di sollecitazioni fisiche ed emotive e normalmente aumenta con l’età, soprattutto perché i vasi perdono elasticità (a 20 anni, in media, la pressione è di 120/80, mentre verso i 60 anni sale a 160/90) (1).
L’IPERTENSIONE
Gli individui che soffrono di pressione alta, detta anche ipertensione, presentano una pressione con cui il sangue circola nelle arterie che è sempre superiore ai valori considerati normali (sistolica maggiore di 140 mmHg; diastolica maggiore di 85-90 mmHg). È sufficiente che uno solo dei due valori sia superiore alla norma perché si possa parlare di ipertensione. L’ipertensione è un fattore di rischio per molte malattie come l’ictus, la cardiopatia ischemica nelle sue varie forme (principalmente infarto e morte improvvisa), lo scompenso cardiaco (per il quale l’ipertensione è un rilevante fattore di rischio), la patologia vascolare in generale (per esempio l’arteriopatia
periferica) e l’insufficienza renale (gli ipertesi hanno più probabilità di andare incontro, negli anni, ad insufficienza renale rispetto ai normotesi). Più elevati sono i livelli di pressione arteriosa, più alto è il rischio di sviluppare le malattie appena citate, indipendentemente dal sesso e dall’età del soggetto. Inoltre, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, sia in termini di tempo che di probabilità, è legato alla presenza di uno o più fattori di rischio oltre che alla pressione alta. Recenti studi definiscono l’ipertensione arteriosa come il più frequente disordine cardiovascolare, presente in circa il 20% della popolazione adulta di molti paesi, in Italia la prevalenza della condizione ipertensiva va dal 21% al 25% circa (2).
In ambito medico sportivo, oltre che per tali aspetti epidemiologici e per la sempre maggiore diffusione dell’attività fisica tra la popolazione generale, l’ipertensione arteriosa acquista rilevanza in quanto fattore di rischio accertato, soprattutto in soggetti di sesso maschile e di età superiore ai 40 anni, di morbilità e mortalità cardiovascolare.
Nel 96% dei casi non è possibile identificare alcuna causa precisa di ipertensione; essa viene perciò definita essenziale. Nel restante 4%, l’ipertensione è legata alla presenza di altre malattie come ad esempio il diabete, lo stress o il fumo.Alcuni individui hanno più probabilità di sviluppare ipertensione come, ad esempio, coloro che hanno genitori ipertesi; coloro che sono in soprappeso sin da giovani; coloro che hanno valori normali di pressione, ma nella fascia alta di normalità. Esistono inoltre malattie, come il diabete, che si associano spesso all’ipertensione e così un individuo diabetico ha più probabilità di sviluppare ipertensione rispetto ad un individuo non diabetico e allo stesso modo un individuo iperteso svilupperà più facilmente il diabete. La pressione del sangue, salvo alcuni casi eccezionali, comincia a salire in modo subdolo e all’inizio non dà segni di sé; generalmente l’ipertensione viene scoperta in modo occasionale durante una normale visita di controllo. Raramente, e se è già piuttosto grave, l’ipertensione può provocare mal di testa (cefalea pulsante) nella zona posteriore del capo, vertigini, cioè senso di instabilità, e acufeni, cioè ronzii nelle orecchie. A volte si possono verificare epistassi (sanguinamento dal naso) e disturbi a carico della vista. L’ipertensione, a livello cardiaco, può provocare disturbi del ritmo, l’ischemia cardiaca (angina o infarto, espressioni di un ridotto apporto di sangue) e l’insufficienza cardiaca.
A livello del cervello, può essere causa di disturbi transitori (TIA – attacchi ischemici transitori) e di danni permanenti (ictus) alle cellule cerebrali, che non ricevono sangue ed ossigeno a sufficienza. L’ipertensione può inoltre provocare una lenta perdita di alcune funzioni quali quelle della memoria, dell’attenzione e dell’orientamento nello spazio e nel tempo (vasculopatia cerebrale). A livello del rene l’ipertensione produce una progressiva riduzione della funzione, fino a provocare, in alcuni casi, un’insufficienza renale cronica.
Chi scopre di essere iperteso, quindi, deve sottoporsi ad un’accurata visita cardiologica, necessaria per valutare lo stato di salute del cuore minacciato dall’ipertensione, correlata da un elettrocardiogramma e da un ecocardiogramma per evidenziare eventuali ingrandimenti dell’immagine del cuore.
Un esame dei vasi della retina (esame del fundus, non invasivo) può segnalare eventuali danni ai vasi cerebrali. L’ipertensione deve sempre essere tenuta sotto controllo.
Un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita globalmente più sano possono bastare, di solito, per le ipertensioni iniziali. Quando il problema è più grave si deve iniziare un trattamento farmacologico anti-ipertensivo più appropriato. Oggi il trattamento antipertensivo si avvale di una grande quantità di classi farmacologiche tra cui le maggiori e più usate sono:
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I diuretici e gli antialdosteronici che aiutano l’organismo ad eliminare i sali e i liquidi accumulati nei tessuti che circondano le arterie.
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I beta-bloccanti che riducono la frequenza e la forza di contrazione del cuore.
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Gli alfa-bloccanti che dilatano i vasi per facilitare il flusso sanguigno.
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I calcio-antagonisti che, bloccando il trasporto di calcio nelle cellule, limitano la forza di contrazione del cuore e dilatano i vasi sanguigni.
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Gli ace-inibitori e gli inibitori dell’angiotensina II che intervengono sui sistemi di regolazione della pressione arteriosa che si trovano nel rene.
I farmaci hanno effetto solo se assunti regolarmente e il trattamento non deve essere mai interrotto senza aver prima consultato il proprio medico (3).
EFFETTI BENEFICI DELL’ATTIVITÀ FISICA SULL’IPERTENSIONE
Non esistono dubbi sull’utilità dell’attività fisica nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Alcuni studi recenti hanno quantificato in 5-6 mmHg la diminuzione del valore pressorio sia sistolico che diastolico, favorita da un allenamento aerobico assiduo e continuativo. Gli effetti benefici dell’allenamento sono dovuti a numerosi fattori tra cui i più importanti sono:
1- Aumento del numero di capillari a livello muscolare e cardiaco (capillarizzazione) dove lo sviluppo del microcircolo coronarico allontana il rischio di angina ed infarto.
2- Maggiore apporto di sangue ed ossigeno a tutti i tessuti ed in particolare al muscolo cardiaco.
3- Riduzione dello stress sia transitorio che a lungo termine grazie al rilascio di sostanze euforizzanti che intervengono nella regolazione dell’umore (endorfine).
4- Riduzione delle resistenze periferiche sia grazie alla riduzione dell’attività di alcuni ormoni e dei loro recettori (catecolamine), sia grazie all’aumento del letto capillare.
5- Effetto positivo sugli altri fattori di rischio che l’attività fisica svolge su altre patologie che spesso si associano o causano l’ipertensione come diabete, dislipidemie ed obesità.
L’esercizio fisico utile per la prevenzione e la cura dell’ipertensione deve essere di tipo aerobico o cardiovascolare: deve cioè essere un’attività fisica di endurance svolta a media intensità (40-70% del VO2max).
Tipici esempi di lavoro cardiovascolare sono la marcia, il jogging, la corsa, il nuoto di resistenza ed il ciclismo. Per essere veramente efficace, l’esercizio fisico, va ripetuto per almeno tre volte alla settimana. Il massimo effetto benefico lo si ottiene con 5 sedute settimanali, anche se le differenze, in termine di calo pressorio, non sono significative. In questo caso migliorano invece i benefici sulla riduzione del peso corporeo e l’efficacia del sistema cardiovascolare. L’attività, per essere efficiente, deve protrarsi per almeno 20-30 minuti, possibilmente senza interruzioni. Anche in questo caso i risultati migliori si ottengono con un impegno superiore (40-50 minuti). Al di sotto dei venti minuti gli effetti positivi calano considerevolmente (4).
POTENZIALI RISCHI DELLA PRATICA SPORTIVA NELL’IPERTESO
La letteratura riporta una maggiore prevalenza di accidenti cardiovascolari durante l’esercizio fisico nell’iperteso rispetto alla popolazione generale. In effetti le variazioni emodinamiche che si verificano durante un esercizio di tipo isotonico come un aumento della frequenza cardiaca, della gittata sistolica e un aumento della pressione sistolica, comportano un notevole aumento del consumo di ossigeno del miocardio e possono costituire un rischio rilevante per il soggetto iperteso, soprattutto se è presente una ridotta riserva coronarica.
A ciò va aggiunto che lo sforzo aumenta la vulnerabilità ventricolare e che l’iperteso ha una maggiore prevalenza di aritmie ventricolari rispetto al normoteso. Ancora non è confermata la possibilità che il training fisico produca nell’iperteso un ulteriore aumento della massa ventricolare sinistra già ipertrofica, molti studi hanno osservato che allenamento ed ipertensione non producono effetti sommatori nei confronti dell’ipertrofia anzi l’allenamento sarebbe in grado di ridurre l’entità dell’ipertrofia nell’iperteso, probabilmente, per una riduzione del tono adrenergico più accentuata nelle attività di tipo aerobico (5).
CARDIOPATIA IPERTENSIVA E CUORE D’ATLETA
Oggi risultano essere ben chiare le modificazioni indotte sull’apparato cardiovascolare dall’ipertensione arteriosa, infatti sia l’impatto emodinamico, conseguente agli elevati valori pressori, sia la stimolazione di meccanismi neuroumorali, in grado di modulare la crescita di cellule muscolari lisce, possono essere implicati nella genesi delle alterazioni strutturali cardiovascolari. L’aumento prolungato delle resistenze periferiche e del postcarico, tipico dell’ipertensione arteriosa, stimolano un progressivo ispessimento della parete del ventricolo sinistro.
L’aumento della massa cardiaca e la comparsa di ipertrofia ventricolare, utili meccanismi di adattamento nelle fasi iniziali della patologia, predispongono, tuttavia, alla comparsa di importanti manifestazioni cliniche come lo scompenso cardiaco, le aritmie ventricolari e la cardiopatia ischemica. Il significato prognostico sfavorevole dell’ipertrofia ventricolare sinistra è valido sia quando la diagnosi è posta mediante ECG, sia quando essa è evidenziata dalla metodica ecocardiografica che risulta più specifica e ripetibile nel tempo. L’impiego dell’ecocardiografia ha permesso di descrivere diverse forme di adattamento geometrico del ventricolo sinistro all’aumento del carico pressorio.
Si parla di ipertrofia concentrica quando lo spessore della parete cardiaca aumenta a spesa del volume della cavità ventricolare sinistra mentre si parla di ipertrofia eccentrica quando la parete del ventricolo sinistro tende ad ispessirsi lontano dall’asse centrale della cavità. Alla luce di tali considerazioni è evidente come la cardiopatia ipertensiva possa talvolta porre problemi di diagnosi differenziale con il cuore d’atleta, dove il rimodellamento cardiaco è causato dall’aumento della portata cardiaca (che durante sforzo supera i 30 l/min) e della pressione arteriosa sistolica (che durante sforzo supera i 200 mmHg). Il primo dei dati da valutare è proprio anamnestico, infatti, non può essere considerato normale un quadro di aumento della massa ventricolare sinistra in un soggetto che da poco abbia iniziato un’attività sportiva o che pratichi sport in maniera incostante.
Ulteriori elementi differenziali derivano dallo studio della funzione diastolica. Nell’atleta le fasi di rilasciamento e riempimento ventricolare non subiscono variazioni in presenza di ipertrofia fisiologica del ventricolo sinistro, addirittura il riempimento ventricolare sinistro è pressoché completo già in protodiastole (6), mentre le proprietà diastoliche del miocardio ventricolare sinistro sono compromesse nell’ipertrofia patologica. Infine è da sottolineare come le modificazioni del decorso e del calibro dei vasi coronarici subepicardici, caratterizzati da aumento in lunghezza, riduzione di calibro e tortuosità, responsabili della riduzione di riserva coronarica nel soggetto iperteso, siano ben differenti dalle modificazioni normofunzionali del circolo coronarico indotte dall’esercizio fisico e caratterizzate da un aumento del calibro e da una riserva vasodilatatoria superiore rispetto ai soggetti non allenati. Queste caratteristiche assieme alla rapida regressione delle modificazioni morfofunzionali che si verifica con il detraining contribuiscono a distinguere l’ipertrofia fisiologica del cuore d’atleta dall’ipertrofia indotta dai patologici incrementi dei valori pressori (7).
CONCLUSIONI
Gli studi epidemiologici hanno da tempo confermato la relazione inversa tra pratica sportiva e livelli pressori. Sia in soggetti normotesi che ipertesi anche un’attività a modesto impegno cardiovascolare, purché praticata assiduamente, è in grado di sviluppare un significativo effetto ipotensivo. È buona norma praticare una completa visita medico-sportiva prima di iniziare una costante attività fisica per evitare di incorrere nei potenziali rischi che la pratica sportiva può indurre in un soggetto già a rischio come è soggetto iperteso rispetto ai soggetti sani.
BIBLIOGRAFIA
1. Mancia G.: Ipertensione e trombosi – tratto da www.trombosi.org
2. Guiducci U., Tortorella G.: Problemi cardiologici nella popolazione sportiva – da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ANMCO
3. Mancia G.: Ipertensione e trombosi – tratto da www.trombosi.org
4. Ipertensione e attività fisica – tratto da www.my-personaltrainer.it
5. Guiducci U., Tortorella G.: Problemi cardiologici nella popolazione sportiva – da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ANMCO
6. Ferritto L., De Risi L.: Il Cuore d’Atleta, oltre i limiti della natura (2008)
7. Guiducci U., Tortorella G.: Problemi cardiologici nella popolazione sportiva – da sz. 19 cap. “Cardiologia dello sport” da “Trattato di Cardiologia” volume 3° a cura dell’ANMCO
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Dott. Luigi Ferritto
Dipartimento di Medicina Interna – Ambulatorio di Fisiopatologia dello Sport
Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)
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